Tra il 19 e il 21 ottobre 2023 si terrà a Roma il congresso “CARVAT is back”, frutto della collaborazione di sei Sezioni di Studio della SIRM (TC, RM, Ecografia, Mezzi di Contrasto, Radiologia Interventistica e Radiologia informatica). Si tratta della riedizione di un famoso Congresso del passato, ideato ed organizzato dai Professori Passariello, Rossi e Simonetti (in rigoroso ordine alfabetico!).
CARVAT è l’acronimo di “Corso di Aggiornamento in Radiologia Vascolare Addominale e Toracica”, poi integrato dal sottotitolo “New perspectives in Diagnostic Imaging”. Dalla sede iniziale della prima edizione (del 1972), al CNR di Roma, per il grande successo dopo appena due anni l’evento fu trasferito all’Hilton di Roma, dove è proseguito con cadenza biennale fino all’ultima edizione, a gennaio 1992.
I tre fondatori, i Professori Passariello, Rossi e Simonetti, sostenuti da una vivace e costante ricerca del nuovo, animati da una determinazione feroce e legati da un profondo sentimento di amicizia per lunghi tratti della vita, hanno avuto questa intuizione in un momento storico dove gli ingranaggi premiavano l’ambizione e l’inventiva, senza eccessivi freni da parte della burocrazia.
Al CARVAT andavano solo Radiologi esperti, per cui, essendomi affacciata al mondo radiologico nella seconda metà degli anni ’80, pur iniziando in angiografia, non ne ho avuto esperienza diretta. Per questo ho deciso di fare due chiacchiere con il Prof. Simonetti, tuttora operativo sul campo e da sempre interessato all’innovazione, alla valorizzazione dei giovani ed alla trasmissione della conoscenza.
Qual è stato lo spirito fondante del CARVAT?
L’idea iniziale di organizzare un congresso elitario e ad altissimo contenuto tecnologico-scientifico rispondeva alla necessità di confronto con i Colleghi esterni, soprattutto americani, più avanti degli europei per finanziamenti e tecnologia.
Nei primi anni del CARVAT, infatti, in Italia la diagnostica invasiva e con finalità terapeutiche, cioè l’angiografia (precursore della Radiologia interventistica a tutto tondo), aveva un’impronta artigianale. Dai soggiorni negli stati Uniti i più fortunati (e noi eravamo tra questi e pure per lunghi periodi) tornavano entusiasti e pieni di iniziative, ma dovevano arrangiarsi con matasse di poliuretano da tagliare a mano, guide da risterilizzare e rubinetti di metallo…
Com’erano i rapporti con questi Colleghi americani?
Spesso nascevano grandi amicizie, che sono durate nel tempo e durano anche adesso. La fantasia, il coraggio e la libertà di sperimentare erano gli elementi che ci univano anche fuori dal lavoro e nonostante le diverse nazionalità.
In quanto tempo si sono visti risultati concreti?
Gli Italiani sono maestri nell’arte di arrangiarsi, e dunque in poco più di 10 anni il gap è stato ampiamente colmato.
A chi era dedicato il CARVAT?
Il CARVAT non era un Congresso per Italiani, ma una meravigliosa passerella per i mostri sacri, quasi tutti americani o emigrati in USA da altri Paesi (Alfidi, Attanasoulis, Viamonte, Dotter, Wholey), che sbarcavano dai loro Concorde per mostrarci come è semplice far diagnosi ma anche curare con strumenti, come il catetere a palloncino di Grüntzig, inventati da loro stessi.
Partecipare al CARVAT era considerato un grande onore per qualunque Radiologo italiano, soprattutto se angiografista, ma il nostro intento era far vedere ai giovani come era possibile lavorare e cosa si poteva raggiungere.
Professore, qual è l’insegnamento più importante derivante dalla sua esperienza professionale?
Il Radiologo, interventista e non, è un Medico e deve confrontarsi con gli altri Specialisti sulla base di competenze cliniche che vanno continuamente aggiornate. In termini calcistici è un regista: crea gioco e fa segnare, ma nello stesso tempo riesce anche lui a realizzare dei bei goal (per esempio è come Totti: io da romanista mi sento come Lui).
Dopo altri 30 anni un Presidente visionario, Andrea Giovagnoni, ha pensato di riproporre il CARVAT e ha trovato un entusiasmo immodificato nel Prof. Simonetti: il modello è un po’ cambiato, ma la finalità è rimasta quella del ricompattamento culturale attorno alla figura centrale del Radiologo, che, come allora, deve avere competenze cliniche che vadano al di là delle singole sottospecialità.
Silvia Magnaldi